Delmira Agustini: il femminicidio di una poetessa

S’era nel 1914, in luglio, e in luglio in Uruguay, a Montevideo, ci son circa 7° di media giornaliera. Neanche un mese prima, un regicidio in una capitale europea lontana aveva fatto saltare gli equilibri di un mondo vecchio, stantìo, non più in grado di reggere senza mutare profondamente.

L’Uruguay è il Nuovo Mondo non solo per la collocazione geografica. In quell’anno, in Uruguay potevi divorziare (su richiesta di entrambi i coniugi, non era solo una prerogativa maschile) ed era stata abolita la pena di morte. Si discuteva della necessità di separare nettamente Stato e Chiesa, anche attraverso una modifica costituzionale, che arrivò poi nel 1916 e nel 1915 si passò obbligatoriamente alle 8 ore lavorative giornaliere, non più alle 12 com’era norma.

In quello spazio, in quella terra, nasce e cresce Delmira Agustini. Nata nella capitale nel 1886, Delmira proviene da una famiglia benestante, ha un fratello più grande, è molto amata dal padre e morbosamente attaccata alla madre. I genitori ne rispettano le inclinazioni malinconiche e la tendenza a isolarsi, senza cercare di modificare la sua indole. Inizia la sua educazione scolastica in casa, come s’usava al tempo e, dalla musica alla pittura, dalla letteratura alla lingua francese, “la nena” assorbe e impara. I contatti con i coetanei sono scarsi, Delmira sviluppa così un’intelligenza molto adulta e una coscienza piena di sé che però nasconde, soprattutto alla madre. L’amore per i versi arriva presto. Ancora bambina, scrive poesie che il padre trascrive in bella copia, essendo Delmira molto disordinata. Suo fratello osserva come, seduta al piano, alterni la scrittura dei versi alle note.

Delmira inizia una sorta d’opera di scissione psicologica. Con la mamma è sempre “la nena”, la bimba di casa, anche il tono di voce resta infantile quando si rivolge a lei. Le sue liriche, invece, diventano sempre più erotiche, adulte, realistiche, cosa che mette non poco in imbarazzo il padre “amanuense”. La nena si fidanza con Enrique Job Reyes e con lui vive una relazione di 5 anni. Poi, contro il volere materno, i due si sposano. Delmira ha 27 anni, gode di una certa stima nel mondo intellettuale uruguayano, intrattiene fitte corrispondenze con poeti e scrittori, tra i quali Ruben Dario, da lei considerato un maestro. La figura artistica di Delmira è innovativa, nel mondo latino americano non c’è nulla che le si possa paragonare, ma anche per il resto del mondo la Agustini è una pioniera: la sua mistica del sesso precede di decenni quella di Anaïs Nin. Di fatto, Delmira Agustini diventa la più grande e influente poetessa di centro e sud America.

Intanto, dopo pochissimi mesi di matrimonio, Delmira chiede il divorzio e torna a vivere con i genitori. Non si hanno motivazioni univoche sul perché la relazione, tranquilla per 5 anni, sia diventata insopportabile per la poetessa dopo pochi mesi di matrimonio. La madre l’accoglie con gioia, perché quel marito, quell’Enrique, a lei non era mai piaciuto.

I due riprendono a vedersi di nascosto dopo poche settimane di separazione, in una sorta di rapporto clandestino, un rapporto da amanti. A quanto pare, Enrique è convinto che Delmira abbia altri uomini e che li abbia sempre avuti, la poesia e le lettere con questi intellettuali sono solo una scusa per mettere in piedi atteggiamenti d’anima corrotta. E i versi osceni che ha l’ardine di declamare e pubblicare, ovviamente, sono una prova dell’adulterio. Ruben Dario, Manuel Ugarte o chissà chi altro, questi sono i nemici nella testa di Reyes.

S’era nel 1914, s’è detto, in luglio, e in luglio in Uruguay, a Montevideo, ci son circa 7° di media giornaliera. Delmira Agustini esce poco dopo il crepuscolo, a piedi, da sola, e a passo svelto, occhi bassi, si reca ad un appuntamento con l’ex marito, quel “vulgar” di Enrique, che non capisce nulla di letteratura e poesia e che lei s’è pentita presto d’aver sposato. Delmira ha personalità multiple, dicono gli amici, e anche i suoi occhi mutano: a volte verdi, a volte celesti, altre volte ancora a metà tra lo smeraldo e l’acquamarina. Delmira in una definizione sola non ci sta e non si dà noia di cercarne una.

Da quel palazzo Delmira Agustini, poetessa ammirata, esce in una cassa di legno. Enrique Job Reyes le spara due volte alla testa, poi si spara anche lui. Gli spari spaventano i vicini del palazzo sulla Calle des Andres che chiamano la polizia. Quando arrivano i soccorsi, Enrique è vivo ma Delmira no. E poiché lei, nonostante la testa maciullata, viene riconosciuta, arrivano anche i fotografi e la stampa. Non è una “semplice” notizia di cronaca nera: è stata uccisa la più grande poetessa d’America.

Quello che ci restituisce la storia è una foto in bianco e nero di una donna stesa sul pavimento, con una camiciola bianca, calze nere, i riccioli sparsi, col volto irriconoscibile per via dei due colpi di pistola. Per la foto, è stata ricomposta e rivestita, perché la polizia l’ha trovata nuda e con le calze tirate giù.

In Europa, Delmira Agustini è poco nota. Ancor meno è nota la sua morte, così simile a quella che tocca a centinaia di donne in Italia, ogni anno. Sono donne uccise, ammazzate in quanto donne che non rientrano in un ruolo a loro dato, e se ne svincolano. Accadeva nel 1914 e accade oggi. Non muoiono d’amore, non vengono ammazzate per colpa di una passione incontrollata: vengono uccise da assassini con i quali hanno condiviso un pezzo di vita.

La storia di Delmira andava raccontata perché è probabilmente il primo esempio di donna emancipata e consapevole di sé punita dal marito per questa sua indipendenza. Le opere di Delmira Agustini in Italia non godono di una traduzione e di una pubblicazione sistematica. In rete è possibile trovare comunque alcune sue poesie, tradotte da ammiratori. Forse, la più grande poetessa dell’America Latina, merita un trattamento storico ed editoriale migliore.

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