La Siberia eterna di Alex Schwazer

Raskol’nikov pensava d’esser una sorta d’eletto e che quindi ammazzare l’usuraia non era poi gran cosa, è giusto che gli eletti vadano avanti e i reietti periscano, no? Secondo Raskol’nikov sì e dunque pianifica e ammazza la vecchia per derubarla. Poi però, come sempre accade quando si è in un romanzo russo, eccoti l’imprevisto: la sorella buona della vecchia cattiva compare e vede tutto. Bisogna ammazzare anche lei e Raskol’nikov, che era eletto e nichilista e soprattutto morto di fame, l’ammazza. Raskol’nikov però non era nato assassino, dunque inizia a star male, partono i deliri, la febbre cerebrale, la solitudine del colpevole.

A redimere Raskol’nikov ci pensa Sonja, che di mestiere fa la puttana, santa e salvifica. Lo lava dall’ateismo e dal nichilismo, lo induce a pentirsi, costituirsi, scontar la pena. E arriva la Siberia, che affronteranno insieme.
C’è chi però ha la sua Siberia personale da anni ma pare che non basti. Non ci basta. Alex Schwazer, dopo la prima squalifica per doping, ammessa senza giri di parole, ha perso tutto. Ha lasciato l’Arma, sponsor spariti, Carolina Koster che non aveva molto in comune con Sonja più comprensibilmente vicina al si salvi chi può. S’è pagato gli allenamenti, le trasferte, ha fatto il cameriere, ha lavorato come tutti cercando di riprendere l’agonismo.

Ha pagato, insomma. Delitto e castigo.

Prima di Rio viene fuori una nuova positività ma Schwazer ‘sto giro non molla e dice d’esser stato fregato. A leggere le varie ricostruzioni non è un’ipotesi così assurda.
Oggi Alex Schwazer ha 31 anni e deve guadagnarsi da vivere perché la sua carriera è finita. Ha avuto una bella idea: fare l’allenatore privato. Perché Alex Schwazer, lo ricordo agli sportivi part time, sa marciare da Dio.

E però Alex Schwazer purtroppo non ha capito di non essere in un romanzo russo dell’Ottocento, gli è toccata un’epoca di gogne, violenza verbale mai pesata ma devastante, dove ogni sbaglio diventa motivo di giudizio senza appello, un tribunale messo in piedi a colpi di tweet e like e commenti sotto link di testate giornalistiche che contano gli spiccioli ricavati dai click.

Alex Schwazer è più sfortunato di Raskol’nikov perché non vive in un’epoca giusta e equa.

Qualunque sia la pena, non basta mai. Schwazer non può guadagnarsi da vivere facendo ciò che ama. No. La sua Siberia è l’umiliazione costante ed eterna, “vai a pulire i cessi”, “vai a scavare tra le macerie del terremoto senza chiedere nulla”, e commenti simili.
Non è un’epoca gentile. Non ci sono Sonje e gentiluomini. È un’epoca di ferocia, di animi aizzati contro la preda facile.

Alex Schwazer non ha ammazzato nessuno. Eppure, a leggere gli istinti bassi dei giudici da social, pare quasi di sì. Condannare l’altro è lo sport che ci viene meglio da anni, ci sentiamo subito puliti, i peccati e le colpe son tutte altrui e si decide anche che no, non c’è espiazione o pena o castigo sufficienti ed è in un contesto così limitato che muore la democrazia, muore perfino Cristo, tutto quello che vi riempie la bocca in Chiesa.
Muore tutto.
Ma questo, s’è detto, non è un romanzo russo, ma la realtà. Noi, s’è detto, non siamo russi dell’Ottocento, siamo purtroppo gli italiani del Duemila.

Alex Schwazer ne tenga conto ogni volta che respira.
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