Precariato e suicidi: una risposta

Il fatto che ciclicamente mi trovi a rispondere a dei giornalisti, come è capitato qualche tempo fa, ha del surreale, eppure inizio a pensare che ci sia una ragione. Prendo come esempio Federica Bianchi, come Federica Bianchi ha preso ad esempio la nota di un suicida trentenne e ci ha costruito intorno le intenzioni delle migliaia di persone che hanno condiviso la lettera di Michele. Le poche battute scambiate con la giornalista su Twitter (che poi ha mollato la presa) non m’hanno fatto ben sperare, ci riprovo, argomentando oltre i 140 caratteri.

Partiamo dall’inizio.

Bianchi apre toccandola pianissimo, scrivendo:

[la lettera di Michele] ha colpito anche me. Ma lo ha fatto in senso opposto. Mi ha suscitato una grande rabbia non contro un’epoca che precarizza il lavoro, anzi, siamo franchi, tende ad ucciderlo, ma contro tutti quei ragazzi che hanno usato una lettera scritta da un ragazzo depresso e arrabbiato per giustificare le proprie debolezze e i propri fallimenti. Gettando sulle spalle degli “altri” – la globalizzazione, l’Unione europea, l’incapacità delle élite di governo, etc.. – la difficoltà di realizzare i propri sogni, la fatica di essere felici.

Incredibile come Bianchi riesca a conoscere le intime intenzioni di tutte le persone che hanno condiviso la lettera di Michele. Qui non siamo nel campo dell’osservazione e della deduzione, bagaglio del giornalista, qua siamo a un passo dalla medianicità, dal sognare i 6 numeri del Supernenalotto. E se parti da un’ipotesi, da una tua deduzione costruita sul niente, non ci si può aspettare un’analisi attinente ai fatti.

E infatti.

Qualche riga dopo:

Perché credo che nella vita non esista un solo concetto di massimo e di minimo, di vittoria e di perdita, di vincente e di sfigato. I concetti sono molteplici e tutti validi.

Se non fossi certa che tre quarti dei giornalisti italiani non abbiano la più pallida idea di cosa voglia dire “trollare”, potrei pensare che Bianchi ci stia effettivamente prendendo in giro. Parte dal presupposto (inventato) che i giovani abbiano usato la lettera e la situazione di Michele per sbolognare i propri fallimenti, e poi nega che i fallimenti esistano; e allora, se i fallimenti non esistono poiché tutto è opportunità di crescita, perché pensare che la spontanea condivisione della nota di un suicida abbia un secondo fine meschino?

Mistero.

Poco più giù troviamo qualcosa che, nuovamente, pare una trollata che manco Bello Figo davanti alla Mussolini, ma drammaticamente non lo è. Bianchi riesce a mescolare in un colpo solo Bebe Vio, i terremotati, il coraggio, la lezione di vita spiccia (“La vita è dura e ingiusta. Occorre farsene una ragione. E attrezzarsi”) fino all’invito finale: emigrate.

Ah.

Continua:

E lo può fare non solo perché i confini sono per noi italiani (ancora) aperti ma perché i biglietti aerei non costano nulla. Perché oggi (e non ieri) si può surfare sul divano di un altro. Si può capire su Internet come funzionano le cose altrove prima ancora di andarci. Si può far rete su Facebook. Si può fare.

I biglietti aereo regalati, la surfata sul divano, cercare su Google “come vivere a Londra con un budget di partenza di 250 euro senza chiedere l’elemosina e rischiare le mazzate della polizia”, quanto sono pavida e pigra e poco propositiva. E pure voi. Già.

Ancora:

Alcuni lavori lo erano e non lo sono più (giornalismo in testa). Altri non esistevano e sono il futuro (hacker). Capire come cambia la vita intorno a noi e come ci dobbiamo muovere per coglierne le opportunità e schivarne le trappole non è mirare al massimo. Non è vincismo. È semplicemente imparare a vivere.

A parte che lunedì mi recherò presso tutte le agenzie interinali di zona chiedendo un posto da hacker, sperando di non finire bevuta dalla Digos, gliele spiego io un paio di cosette su come va in mondo. Da quasi trentatreenne ad una persona che mi pare avere qualche anno in più. Se m’è permesso, e se non m’è permesso è lo stesso perché mi sono, ci siamo, francamente stancati di sentirci dire come campare e pure come morire.

Partiamo dal mestiere della Bianchi.

Ho avuto modo di conoscere molti, forse troppi, giornalisti. La stragrande maggioranza vive in un mondo parallelo, incapace di capire che l’Italia di 10, 15, 20 anni fa non esiste più. Non è possibile, in alcun modo, fare un confronto serio. L’agiatezza nominata dalla stessa Bianchi ha permesso alla generazione nata negli anni ’60 e ’70 di approcciarsi al mondo del lavoro in un modo completamente diverso, e nessuno negli anni ’90 si sarebbe azzardato a proporre un lavoro gratuito in cambio di esperienza da CV e “formazione”. Tutti, pure l’ultimo garzone dell’ultimo macellaio dell’ultimo borgo del Paese, aveva la sua sacrosanta paga.

Oggi no.

Bianchi e colleghi faticano a capire la società e le toppate clamorose che ci hanno riservato (elezioni comunali, referendum, Trump, per dirne tre davvero grosse) dimostra sufficientemente quello che dico. Sul mondo del lavoro, poi, sono completamente all’oscuro di ciò che capita allo stagista che hanno accanto, spesso più formato di loro, più titolato di loro, che spesso fa un lavoro che non gli spetta, se fortunato è malpagato, nella prassi non gli danno manco la chiavetta per il caffè. Lui sta lì, lo stagista, è contento, e può stare lì perché ha la fortuna di non dover pagare da sé affitto, bollette, spesa, trasporti. Non è una fortuna che capita a tutti. Muoversi, andarsene, presuppone avere almeno un minimo di margine, un mese di spese pagate con qualcosa che si ha da parte o offerto dai genitori.

Pure per prendere gli aerei gratis (?) e pure per surfare sui divani degli sconosciuti.

In che modo far capire a Bianchi e colleghi che non tutti hanno quel margine e, anzi, pochissimi oggi ce l’hanno? Come far capire che non puoi lasciare non solo il Paese, ma manco la tua città, con pochi euro in tasca? Come far capire che è un cane che si morde la coda perché guadagni poco, sempre meno, e sempre meno riesci a risparmiare per cambiare vita? Come fai capire a Bianchi che molti trentenni sono tornati a casa perché si sono ritrovati con i genitori licenziati e senza pensione, e ancora anni ci vorranno prima che la vedano? Come far capire a Bianchi che il coraggio, l’audacia, i sogni, sono tutte cose fighe ma di costruttivo non c’è nulla? Che anche io, con tutti i sogni, le aspirazioni, blablabla, se devo guadagnare dei soldi vado a pulire i cessi e ringrazio pure che esistano? Che c’è gente che non fa più esami medici perché non li può pagare?

Il padrone di casa vuole i soldi dell’affitto, non i miei sogni. Manco quelli ci possiamo più permettere.

Il mondo del giornalismo è diventato sempre più élitario e chiuso, me lo ha confermato un giovane giornalista venticinquenne, senza volerlo. Mi diceva di voler mollare un famoso giornale per trasferirsi nella redazione di una nota emittente tv. Gli chiedo, come la cretina che sono: “ma come fai?” e lui, un po’ stupito “grazie al master”.

Il suo, 6000 euro; paghi, ti spetta uno stage obbligatorio, poi (sempre secondo le parole del tesserato all’ordine) entri in una redazione e se stai simpatico a qualcuno, resti. Poi certo, puoi anche andare avanti miracolosamente perché sei bravo. Ma per dimostrare di essere bravo, devi prima tirare fuori 6000 euro. Non esattamente alla portata di tutti. La professione di Federica Bianchi finirà per essere in mano a chi può permettersela, non a chi è capace di svolgerla. (Questa è una generalizzazione, come quella della Bianchi. Non se ne avrà a male, no?)

Non so cosa ne pensi Federica Bianchi, a me un po’ la cosa fa schifo. Un po’.

E qui, anche a me, m’è venuta una riflessione cattiva, perché cattivo è  il pezzo di Bianchi, colmo di snobismo, arroganza, classismo, di “se non hanno pane che mangino brioches”, di utopismo da cartone animato edificante. A me, da dove viene e che opportunità ha avuto Bianchi Federica poco me ne cale, comprese le varie rivendicazioni su Facebook che ho avuto la sfortuna di leggere e che mi stavano spingendo all’asportazione del bulbo oculare attraverso il cesellato uso d’una limetta per unghie. Il profilo Linkedin era e credo sia ancora pubblico, ma non mi concentro su quello, io non rosico se qualcuno ha o ha avuto occasioni che io non ho potuto neanche sognare.

A me fa rabbia che il privilegiato non riconosca di esserlo.

La mia riflessione cattiva m’ha spinta a pensare che questo costante invito a recarci tutti all’estero serva a lasciare campo libero ai figli di/nipoti di. Tanto per cominciare, noi poracci smetteremmo di tediare e rovinare il paesaggio col nostro aspetto cencioso (nb: sarcasmo) ma soprattutto potendo loro permettersi di pagare tutto quello che serve per aprire porte chiuse, da master a scuole più o meno serie, s’annienta del tutto la competizione.

Fuori tutti i poracci, quelli bravi e quelli scarsi. Dentro solo chi se lo può permettere, quelli bravi e quelli scarsi.

Chissà se mentre scriveva quel pezzo pieno di veleno classista, la Bianchi si sia mai fermata a riflettere che mondo sta lasciando ai Michele che non s’ammazzano e che non hanno una certa disponibilità economica. Chissà.

Io so solo che dopo 6 anni con la stessa azienda come web content, a 10 giorni da Natale, mi hanno diminuito la paga. Però m’hanno ringraziata tanto per il lavoro svolto finora, sono molto soddisfatti. Con la loro soddisfazione ci pago la bolletta Enel? Non so, escludo.

E che fortuna, signora mia, sentir dire che Michele era malato, che non è colpa di nessuno, non è colpa del precariato, è un fatto privato, non c’è nulla di utile per il collettivo eppure nessuno vuol ricordare che quando il collettivo dimentica la dignità dell’individuo, quel collettivo diventa massa, che la vita è dura per tutti, ora non ne fate un simbolo eh, c’è chi sta peggio, Bebe Vio e i terremotati e i bambini di Aleppo.

Che fortuna leggere certe sentenze.

Che fortuna non avere il coraggio d’appendersi a una trave come ha fatto Michele o fallire anche in quello. E vengono pure a dirti che se ti riconosci in quella disperazione è perché scarichi la responsabilità dei tuoi fallimenti sugli “altri”, tra virgolette. Capito come.

Che fortuna, signora mia.

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