#AneddotiMusicali: i divorati del grunge, non era una recita

Non era una recita.

Non ci son state teste maciullate né infilate nei forni a gas ché Sylvia Plath non l’ha ispirato fino a questo punto, e non ci son stati poco estetici sovradosaggi di droghe demodé né sangue sparso da una lametta.
E non ci sono “perché” da chiedere nei perché degli altri che se la vita non si giudica figurarsi la morte e però, però, Chris Cornell non pareva quel predestinato agnello sacrificale che avrebbe vinto tutte le battaglie e persa poi la guerra (dice il Dio di Saramago al Gesù ribelle) perché quel ruolo se lo era accaparrato Kurt Cobaine lo ha portato a termine, il suo compito. Il trono era occupato e il posto era preso, e comunque non ci sono perché da chiedere.

E se Andrew Wood era il padre del grunge e lo sapevano tutti, Andrew Wood non ha mai visto la faccia di suo figlio e s’è ammazzato pure lui, a ventiquattr’anni, s’è solo scelto una via più lunga, più distruttiva, meno pulita. La via di Sid Vicious e quella di Layne Staley, Layne che da almeno 8 anni, prima di crepare lo stesso giorno di Kurt Cobain (s’era nel 2002) e essere trovato 2 settimane dopo, reggeva l’anima coi denti e aspettava solo che arrivasse l’ora di andare a dormire e di aver pace.
Ammazzato da quel figlio bastardo e immondo concepito per caso e per caos da Andrew Wood, che sembrava aver dato voce a chi non riusciva più a reggere e invece il tributo per quelle Parole e quella Voce si conta in vite restituite.
E Andrew non ne ha potuto veder la smorfia infame che non dava speranze e non voleva dare una versione edulcorata d’una realtà che a ogni latitudine ti vendeva un pezzetto di morte sfusa e polverizzata. Era questa la soluzione: addormentare, che respirar così ti pesa.

E però gli anni passano e il grunge s’è detto che a un certo punto è morto, è morto quando Kurt Cobain o chi per lui ha lasciato che l’ossessione per la morte prendesse il posto sul trono, dando quello che ci s’aspettava, la fine del romanzo senza possibilità di riprese postume. Ma i figli del grunge di padre morto erano troppi e tutti, tutti, avevano ancora qualcosa da dire e tutti, tutti, s’erano attorcigliati attorno a qualcosa che non dava spazio neanche allo sperar la speranza. Non ti manca forse il padre se non lo hai conosciuto mai e però questi figli, questi figli rimasti, erano affidati alla corrente di un movimento che era nato per morire in fretta eppure è rimasto, se non nei dischi almeno nello stomaco dei sopravvissuti che non stanno sopravvivendo più.

Uno ad uno si stanno alzando dal tavolo e senza salutare in una manciata di minuti smettono di esser figli abbandonati al ghigno diabolico del movimento orfano che evidentemente morir non vuole e si nutre di chi resta ma pochi, pochi ne son rimasti, e quindi avrà ancor poco da fagocitare. Stritolati in una morsa d’autodistruzione che può essere quasi autodeterminazione, voglia di non farsi divorare del tutto ma il risultato è sempre lo stesso: non resta quasi nessuno.

Chris Cornell non aveva bisogno della leggenda per essere riconosciuto come talento perché era dai tempi di Ultramegaok che s’era capito come e quanto Cornell fosse in grado di cantare e, come lui, solo Eddie VedderChris Cornell ha passato la vita a raccogliere amici morti e dopo Andrew Wood, Kurt Cobain, Jeff Buckley (è per lui “Wave Goodbye” da Euphoria Morning”), Layne Staley e Scott Weiland probabilmente pure Chris Cornell s’è stancato di raccogliere e ha preferito esser raccolto.

A raccoglierlo c’è Eddie Vedder che ha sempre sorriso poco e ha sempre avuto quella ruga in mezzo alla fronte profonda come una caverna, mentre Chris Cornell è parso ragazzetto pure la sera prima di appendersi in un bagno d’albergo segnando i 52 sulla carta d’identità. Bello, il più bello di tutti, dicevamo da ragazzine, era bello e era bravo, si diceva mentre si sceglieva quello che secondo noi era il leader di questo movimento maledetto che mai sazio e mai domo e sempre zitto come una dose extra di benzodiazepine continua a mangiarsi i suoi figli al pari d’un Crono, a far mito nel mito.

Muoiono consapevoli divorati dentro o per non farsi divorare ma il concetto resta che loro non restano e noi si sta qui attoniti a maledire quel suono urlato che non dava pace né speranza né voglia di vivere ma ci ha permesso di dirlo al mondo, che si viveva male ovunque.
Il mondo non ha ascoltato, la festa è finita presto, ci si mette l’anima sulle spalle e fino al prossimo pasto il grunge se ne starà tranquillo. Si spera. Quelli da divorare son quasi finiti, quasi, restiamo solo noi a guardare un mondo sempre meno bello e a riprendere i cd, e perfino le cassette che non possiamo più ascoltare ché non s’ha più lo stereo giusto.Restiamo qua a guardare i divorati del grunge che non ha misericordia di nessuno e continua a ghignare senza sosta e ad avviluppare chi prova a rialzare la testa e a non restare impigliato nell’ombra di un concetto che fu e mai più sarà. Stanno vincendo le battaglie ogni volta che arriva un compleanno ma il grunge è agonia e perderanno la guerra. È questo quello che m’ha insegnato il grunge attraverso i figli che divora. 

Non era una recita, se pure Chris non c’è più.

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