La sindrome di Manuel Agnelli

“Gli ubriachi e i bambini dicono sempre la verità” ma in realtà, spesso, i bambini dicono cose che sanno essere inopportune per generare attenzione. È una caratteristica che, finite le elementari, dovrebbe essere superata agevolmente, eppure alcuni restano impigliati in quella necessità di dire “cacca culo” scandalizzando bisnonne centenarie. La Montessori non sarà d’accordo ma alla fine una pizza in faccia potrebbe risolvere il problema alla radice, evitandoci di dover guardare con pietosa tenerezza ai tardo adolescenti over 45 che continuano a chiudersi in cameretta (qualunque essa sia) ascoltando “Ok Computer” e Lou Reed.

Manuel Agnelli è l’emblema di questi tardo adolescenti, ribelli senza causa cui tutto fa schifo, e però non s’è ancora capito cos’abbiano fatto di tangibile per fare in modo che il mondo facesse un po’ meno schifo. Gli Afterhours erano di nicchia, si pretende lo siano, e però io li trovavo su Cioè e Top Girl, su Tutto Musica e Tribe, forse piazzati là in un impeto di pietà redazionale che voleva sollevare le nostre giovani menti concentrate sul culo dei Take That.

Può darsi. Chiederemo a Caressa.

Però la sua opera artistica trentennale, a quanto sembra, non è bastata, se facciamo ancora schifo e non manca di sottolinearlo. Gli insulti da baudelairiano decadente preda dello spleen di Agnelli mi rincorrono dall’infanzia, perché gli Afterhours erano di nicchia, si pretende lo siano, e però li trovavo in radio, diverse radio. E d’altra parte Manuel Agnelli ha cominciato a scatarrarmi su già nel 1997, quando contavo appena 13 primavere e lui aveva da poco superato i 30.

Quella di Manuel Agnelli, classe ’66, è stata la prima vera generazione che ha avuto accesso a cose prima paritarie solo sulla carta, dai viaggi all’università. Di fatto, però, la generazione di Manuel Agnelli non esiste. È stata fagocitata dalle precedenti e sorpassata dalle successive, quel decennio di baby boom ci ha regalato cinquantenni che paiono solo astiosi, frustrati, in guerra perenne contro il nulla, troppo coccolati, con troppe certezze, col posto fisso, e lui, Manuel, su quello ci ha potuto pure scatarrare su.

Bontà sua.

Da più di vent’anni Manuel Agnelli inveisce contro i “giovani”, quelli che oggi hanno quaranta/trent’anni e quelli che ne hanno venti. Viene quasi il sospetto che il problema sia Manuel Agnelli, magari nel modo un po’ troppo snob e molto borghese di guardare con sufficienza chi ti sta intorno. Chissà. Laddove per esser snob e borghesi non occorre avere il papà notaio, basta una copia da mille lire de “I fiori del male” mentre gli altri cercano le sise sul postalmarket. E ti senti migliore.

Continuo a leggere ridendo le sue interviste “introspettive”, invase da quella tenera boria che gli fa dire con una serietà allarmante “disprezzo i Duran Duran” e “i Queen erano solo dei bravi musicisti”, come se stesse scardinando le basi stesse della società moderna, come se ci stesse fornendo gli strumenti per dimostrare senza dubbio che Dio esiste o non esiste. E ci troviamo in un’epoca talmente rarefatta che ora verrà fuori che Agnelli è un troll ante litteram, dice quello che dice con compassata serietà ma in realtà no, non lo pensa mica. Ci siamo cascati tutti. Da 25 anni.

Manuel Agnelli scatarra da 5 lustri su quello che gli dà da mangiare e la realtà oggettiva è che se noi fossimo migliori, lui sarebbe disoccupato. Non potrebbe sparare a zero sui talent e poi fare il giudice in uno di questi, non potrebbe cercare di vendere i suoi dischi ai “giovani” (tutti, quelli che insultava prima e quelli che insulta oggi), non potrebbe disprezzare internet che lo ha reso una specie di guru, felice di farsi fustigare da uno capace di mettere insieme 7 parole in fila.

A volte per sentirsi migliori basta effettivamente circondarsi di idioti.

Forse è per questo che la generazione di Manuel Agnelli s’è fatta fregare dai vecchi e dai giovani: ha guardato al peggio per sentirsi meglio e là s’è inchiodata. Manuel Agnelli è Nonno Simpson che inveisce contro una nuvola, è la personificazione delle colpe generazionali delegate. È una sindrome diffusa tra i nati negli anni ’60 che potrebbe tranquillamente portare il suo nome.

Ma la realtà è una (spoiler: sarcasmo): quando inizi a passarti la piastra ormai sei schiavo nel sistema. Anche se sei Manuel Agnelli e alla fine, che dire: va bene Manuel, sei mejo te.

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