franz kafka

La breve vita di un genio: Franz Kafka

“La sofferenza è l’elemento positivo di questo mondo, è anzi l’unico legame fra questo mondo e il positivo”.

Questo aforisma di Franz Kafka riassume tutta la vita e la concezione dell’esistenza del suo autore.
Kafka nasce il 3 luglio 1883 a Praga, da una famiglia ebrea appartenente alla borghesia. I genitori gestivano un’attività commerciale ed ebbero 6 figli, due dei quali morirono in tenera età. L’unico maschio rimase quindi Franz, mentre le sorelle minori Elli, Valli e Ottla furono deportate e morirono nel campo nazista di Chelmo nel 1942. Nel 1906, dopo essersi interessato alle teorie di Darwin e a quelle socialiste che in quel periodo pre-rivoluzionario animavano molti ebrei dell’Europa orientale, si laureò in Giurisprudenza a Praga. Kafka aveva già iniziato a creare opere letterarie ma vi si dedicava solo nel tempo libero poiché tale attività intellettuale era malvista dal padre. L’ingombrante presenza della famiglia e l’autoritaria figura paterna saranno temi fondamentali nella letteratura dell’autore ceco. Questo senso d’oppressione spinse Kafka a trasferirsi a Berlino nel 1923, ove si dedicò più assiduamente alla scrittura. Intraprese inoltre vari viaggi in diverse stazioni termali nella speranza di curare la tubercolosi contratta nel 1917, senza però ottenere risultati: morì infatti nel giugno del 1924, dopo una terribile agonia, presso il sanatorio austriaco di Kierling.


La vita sentimentale di Kafka ebbe come protagoniste poche donne, la più importante delle quali fu Felice Bauer, sua fidanzata dal 1912 al 1917. Conosciuta a casa dell’amico Max Brod, Kafka ne fa una descrizione poco edificante: orribile dentatura, viso ossuto, aspetto insignificante. In generale, Kafka rifuggiva la carnalità e l’aspetto sessuale dell’esistenza poiché riteneva che spingesse l’uomo verso atteggiamenti animaleschi e poco dignitosi. L’amore per Felice era vero e sincero e lo scrittore si dibatteva tra il senso di colpa per non aver ancora compiuto il suo dovere di figlio e di ebreo (prendere moglie e sistemare in maniera stabile la propria esistenza) e la volontà di continuare il proprio cammino letterario indipendente dalle consuetudini tradizionali. Quando seppe di aver contratto la tubercolosi lasciò la Bauer con la morte nel cuore; l’amico Brod dirà di averlo visto piangere solo in quell’unica occasione. L’ultima donna di Kafka fu Dora Diamant, che rimase con lui un anno, fino alla morte. In lei Kafka rivedeva l’ebraismo puro e sincero e grazie a Dora poté vivere serenamente gli ultimi mesi della sua breve e ricca esistenza.
Le opere più famose di Kafka vennero pubblicate postume grazie a Max Brod che non rispettò le volontà dell’amico. Kafka aveva infatti chiesto che alla sua morte tutti i suoi scritti dovessero essere bruciati e distrutti.
Spiccano, nelle opere, la capacità di Kafka di inserire il grottesco e lo stravagante nella vita ordinaria, l’immedesimazione del protagonista empaticamente legato all’autore, la sua conflittualità con la figura paterna e quella femminile, il disagio e un senso di colpa vago che spinge all’emarginazione e al rifiuto di dogmi e realtà. Molti dei lavori di Kafka restarono incompiuti, come se l’autore, incapace di sanare le fratture della propria anima, non fosse stato in grado di terminare le opere che enfatizzavano e mettevano a nudo tali fratture.


La bibliografia è comunque ricca di racconti, come “La metamorfosi” (1915), “Un medico di campagna” (1918), “La condanna” (1913), “Il digiunatore” (1924), “Nella colonia penale” (1919) e consta anche di tre romanzi: “Il processo” ( 1925), “Il Castello” (1926) e “America” (1927).
Importanti sono inoltre le corrispondenze, principalmente quelle tenute con la fidanzata Felice e con Milena Jesenská, sua amante per un breve periodo. L’epistola più importante resta però senza dubbio la “Lettera al padre” scritta nel 1919, manifesto fondamentale dell’opera e dell’esistenza stessa di Kafka dove l’autore parla senza remore dell’infinita stima e del profondo disprezzo nei confronti del padre, della visione autoritaria del genitore e la consapevolezza di aver ricevuto un’educazione anaffettiva e monca. E’ un testo profondamente autobiografico che esula da tutta l’opera dell’autore.

Share this