Cominciare e non finire: Franz Kafka re dei procrastinatori

Questa è la storia di un uomo che non era bello ma accanto a sé aveva mille donne, pur non potendo ancora cantare le canzoni dei Beatles. Uno scarafaggio lo ha reso abbastanza celebre e ha spinto zelanti psichiatri a schiaffarlo nella categoria degli schizoidi con disturbo della personalità e, perché no già che ci siamo, avrebbe sofferto anche di anoressia nervosa. Nel 1917 a Franz Kafka viene diagnosticata la tubercolosi che lo mangerà vivo. Muore a 39 anni, praticamente di fame per non poter più deglutire, tra sofferenze indicibili. Ha un amico carissimo, Max Brod, al quale chiede una cosa sola, e gliela chiede ufficialmente, in un testamento: bruciare tutto quello che ha scritto fino a quel momento e tutte le lettere ricevute da altri. C’aveva già pensato lui, a Berlino, mentre viveva con Dora Diamant, a bruciare manoscritti di ogni tipo.
Max Brod è stato un pessimo amico e non ha rispettato le ultime volontà di Kafka. Non solo non ha dato alle fiamme gli scritti di Franz, ma li ha pure pubblicati, sotto sua supervisione, aggiungendo e togliendo parti di romanzi e racconti mai completati dallo scrittore. Passava ore e ore a scrivere, il caro Franz, cambiò addirittura lavoro per poterlo fare con più agio, e non terminò mai un romanzo.

Franz re dei procrastinatori, Franz personificazione del motto “lo faccio dopo”, Franz uno di noi.

Kafka, in vita, era un autore sconosciuto e, a suo modo, è stato un personaggio dei filmetti di Fabio Volo, solo a Praga, solo in lingua tedesca, solo dotato di un intelletto spaventoso. Ha avuto almeno due fidanzate ufficiali, si divertiva ad andare per bordelli, dava bottarelle un po’ qui e un po’ lì, si considerava ripugnante mentalmente e fisicamente e sempre sull’orlo del fallimento sessuale, eppure Kafka, tutto sommato, c’ha dato dentro.
Riteneva giusto anche sposarsi e fare figli, come s’addiceva a ogni buon ebreo, ma non lo fece mai. Iniziò pure una storia con una donna sposata, Milena Jasenskà, alla quale Franz regalò i suoi diari e a cui destinò molte lettere, raccolte e pubblicate. Milena e tutte le sorelle di Kafka morirono in un campo di sterminio nazista, Franz morì nel 1924, distrutto, sfinito, senza aver mai raggiunto quella gloria che gli spettava (ma che non ha mai cercato) in quanto genio assoluto, perché questa storia che uno sano di mente non possa calarsi in situazioni mentalmente assurde è un limite posto arbitrariamente alla creatività umana.
Kafka poteva, Kafka sapeva farlo, cosa rara, certo, perché il genio è raro, che discorso è?
A me non riesce la maionese, ma esiste, devo considerare psicopatici tutti quelli che riescono a prepararla?
Neanche Dora rispettò le volontà di Franz, non bruciò i manoscritti e le lettere in suo possesso, ma vennero sequestrate dalla Gestapo nel 1933 e andarono perdute. Quanto meno, non c’ha lucrato, però è anche vero che senza l’egoismo (o la reale voglia di diffondere le opere dell’amico) di Max Brod, non avremmo mai conosciuto due degli incipit più famosi della storia della letteratura:

Gregorio Samsa, svegliatosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo

Qualcuno doveva aver diffamato Josef K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato

Kafka avrebbe voluto terminare i suoi romanzi e non lo fece.
Kafka avrebbe voluto sposarsi e non lo fece.
Kafka avrà pensato, come tutti noi, di avere tempo, e non lo ebbe.
Franz re dei procrastinatori, Franz personificazione del motto “lo faccio dopo”, Franz uno di noi.
Il punto è che noi non abbiamo nulla da far bruciare e non siamo Franz Kafka, non abbiamo nulla di degno da lasciare ai posteri e dovremmo, probabilmente, fare qualcosa di buono finché siamo ancora capaci di respirare e deglutire, senza pensare d’aver tempo, perché spesso non lo abbiamo.

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