#AneddotiLetterari: San Pietroburgo, un centro con le vite intorno

San Pietroburgo: la prima pietra che s’era in primavera e son passati appena 314 anni, una città giovinetta, un bocciolo, verdissima ancora, un’idea, il sogno di un pazzo, d’uno che non si staccava dalla tirannia perché le teste sulle picche fan sempre effetto eppure tutto quel dominio che aveva, a lui, non gli bastava mica, a Pietro. Se la sgattaiola in Europa e torna sapendo cosa vuole, lui che alto com’era e moderno com’era veniva visto come l’Anticristo che, ortodossi o meno, serve sempre. C’è un romanzo non finito che parla di lui, omonimo proprio, “Pietro il Grande”, scritto da un Tolstoj minore, Aleksej. Un po’ a verità e un po’ no, ci racconta perché è nata San Pietroburgo, che ha cambiato un po’ di nomi ma sempre quella è, da 314 anni. La narrano costruita letteralmente sui morti, Piter, quelli mandati ai lavori forzati per mettere in piedi in fretta e bene la città-sogno dello Zar, sulle ossa dei deportati, sulla carne degli affamati. E, a memoria, non ricordo una città che sia stata protagonista letteraria tanto quanto Lei. Non Roma, non la Nuova Roma, non Venezia, neanche Londra e Parigi, sempre a far da sfondo, loro, ad enfatizzare sfarzo e miseria, a caratterizzare e non a inglobare, mangiare, ingoiare i personaggi. Vite a prescindere, applicabili ovunque, adattabili ovunque, esistenze comunque.

Quelle di San Pietroburgo, invece, no.

Perché se leggi i russi, San Pietroburgo c’è sempre e non ti spieghi, non sai come sia possibile, che sia esistita una qualsivoglia letteratura russa prima di quella prima pietra di Pietro Primo. Prima di Puskin e di Gogol’, di Dostoevskij e di Brodskij, tre su quattro non pietroburghesi e uno tecnicamente di Leningrado, a dirla tutta.

Le notti bianche e la casa di Raskol’nikov, il naso e il cappotto, il Cavaliere di Bronzo e Eugenio, gli appunti di un perseguitato e il cercar di capire chi sia stato il primo a comprendere che Pietroburgo non è uno sfondo, Pietroburgo è protagonista e Prospettiva, è la Storia che si sottomette a Lei e non il contrario, è tutto subordinato a Lei, è un centro con le vite intorno, San Pietroburgo.

E lo era anche ieri, quando hanno pensato che si potessero far saltare in aria persone in una fermata metro chiamata Sennaja Ploščad’, zona che Rodion ben conosceva. Così avvezzi ormai da continuare a discutere di altro mentre cappotti insanguinati e persone stese a terra ci passavano davanti. Senza pensare che una bomba a 20 centimetri ti sventra, non resta manco la carne da seppellire.

San Pietroburgo ha subito 300 alluvioni, quasi una per ogni anno trascorso dalla sua alba; un assedio di guerra inutile, quand’era già Leningrado, 900 giorni, più d’un milione di morti, una città che tirava su solo i cadaveri e le barricate, e Piter/Pietrogrado/Pietroburgo/Leningrado/San Pietroburgo è sempre là, protagonista mai sottomessa a nessuna Storia, non incline a subire destini che non le competono e invece ben decisa a segnarne altri, letterari e meno letterari.

E così Iosif Broskij, che a Leningrado è nato e da Leningrado è scappato, perseguitato (“se c’è un motivo d’orgoglio nel mio passato, è d’esser stato detenuto e non soldato“) e poeta, poeta che “si mette nei guai non tanto per le sue idee politiche quanto per la sua superiorità linguistica e, implicitamente, psicologica” di Pietroburgo/Leningrado scriveva:

L’anno scolastico termina generalmente con la fine di maggio, quando le Notti Bianche arrivano in questa città per restarvi per tutto il mese di giugno. Una notte bianca è una notte in cui il sole scompare dal cielo solo per un paio d’ore – è un fenomeno ben noto alle latitudini settentrionali. Per la città è il periodo più magico, quando si può leggere o scrivere alle due del mattino senza bisogno di una lampada, e quando i palazzi, spogliati delle loro ombre e con i tetti orlati d’oro, prendono l’aspetto di un delicato servizio di porcellana. C’è intorno una tale quiete che si può udire il tintinnare di un cucchiaino che cade in Finlandia. Il rosa trasparente del cielo è così tenue che l’acquerello cilestrino del fiume quasi non riesce a rifletterlo. E i ponti si ripiegano, come se le isole del delta smettessero di tenersi per mano e si lasciassero andare adagio adagio alla deriva, entrando nel filo della corrente, verso il Baltico. In notti simili è difficile addormentarsi, perché c’è troppa luce e perché ogni sogno sarà inferiore a questa realtà. Dove un uomo non fa più ombra, come l’acqua.

(Iosif Brodskij, “Fuga da Bisanzio”, traduzione Gilberto Forti, Adelphi, 2016)

Ogni sogno sarà inferiore a questa realtà“: quella realtà sognata e voluta dal Cavaliere di Bronzo 314 anni fa.

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