Paul Gascoigne e Francis Scott Fitzgerald

Quando Francis Scott Fitzgerald morì a 44 anni, nel 1940, Dorothy Parker urlò straziata con le lacrime agli occhi “poor old bastard”, citazione che arrivava dritta dritta da “Il grande Gatsby”. Fitzgerald aveva conosciuto la gloria e la polvere, era stato il simbolo di un’epoca mai più vista e moriva così, male, malissimo, andava sottoterra accompagnato da pochi, quelli veri. Quelli buoni. Francis Scott Fitzgerald ebbe due infarti nel giro di un mese, il secondo lo uccise. Zelda era già persa nei fumi di una mente malata e irrecuperabile, gli sopravvisse di 8 anni, morì bruciata nella casa di riposo che la ospitava. Francis Scott Fitzgerald era alcolizzato, lo era già gravemente nel 1929, quando perse molto con il crollo della borsa, lo diventò ancora di più quando cercava di scrivere per guadagnare, con la piccola Scottie da accudire e Zelda che impazziva.

Era la vita di tanti intellettuali, l’aura di dannati, l’autodistruzione, la Lost Generation, i poeti maledetti poco prima, la Beat Generation poi. Kerouac e Bukowski, Poe e Capote, l’amica Parker e Joyce. Tutti alcolisti. E poi Hemingway, suo grande amico, mai apprezzato da Zelda Sayre, che definiva Ernest “uomo dalla personalità fasulla come un assegno in bianco” (e pure “frocio con la schiena pelosa”, ma soprassediamo). Per Hemingway, lei era pazza, e la storia gli ha dato anche ragione. Tutti ad annegare la vita in un bicchiere, che poi diventa bottiglia, che poi però perdi il conto.

Sono sempre stata dell’idea che tutti loro fossero diventati Fitzgerald e Hemingway, Parker e Bukowski nonostante l’alcol, non grazie a. Tipo Maradona con la coca.

E se c’è un Francis Scott Fitzgerald nel calcio, quello è Paul Gascoigne. Ho visto la sua faccia sconvolta e gonfia, lo sguardo perso come quello che doveva avere Zelda prima di finire in manicomio, la testa con un taglio incrostato di sangue, una vestaglia sdrucita e aperta, nudo e senza scarpe. Paul Gascoigne era Paul Gascoigne anche senza alcol, era Paul Gascoigne nonostante l’alcol, non grazie a. Gascoigne sarebbe stato lo stesso personaggio in campo anche senza avere “un bicchiere di gin in mano alle 7 del mattino” e oggi forse allenerebbe una primavera qualsiasi, che si divertirebbe da matti. Però Gazza s’è scelto la via, dicevo. Come gli altri citati prima, quelli col Nobel sulla mensola del caminetto che poi una mattina di luglio s’infilano il fucile in bocca e s’ammazzano. Puf.
Gazza il Nobel per la Letteratura non ce l’ha, ha qualche premio calcistico, qualche coppa, questo sì, ma George Best (uno che col bere non c’è mai andato leggero) disse di lui “Ho detto a Gazza che il suo Q.I. è inferiore al suo numero di maglia e lui m’ha chiesto cosa fosse un Q.I.” La sua assoluta mancanza di buonsenso, quella che faceva la differenza in campo, lui l’ha applicata alla vita. Idea stronza.

Gascoigne non aveva il Nobel, dicevo, ma per Zoff era un artista, e onestamente chi sono io per smentire le parole di Dino Zoff. Nessuno. A leggere le imprese extra campo di Gascoigne c’è solo da ridere per ore e lo faccio, e a guardarlo giocare nei vecchi video sgranati su youtube c’è solo da essere felici che sia esistito e lo sono, ma oggi Gazza è malato, dimostra vent’anni di più, non ne esce e forse non ne uscirà mai. E metto il “forse” per speranza, ma non ci credo mica, nessuna convinzione.
Tutti chiedono “ma la famiglia? E gli amici?” dove sono tutti mentre Paul esce scalzo, nudo, coperto da una vestaglia? A vivere, rispondo. Dove volete che siano. Paul Gascoigne s’è scelto la via mille volte, perché mille volte poteva deviare, e non l’ha fatto. È suo diritto. S’è votato a quello. Pace. Si campa e si muore come meglio ci viene, senza scomodare Caterina Caselli. Si campa con la bottiglia e si muore con una fucilata autoinflitta, come Ernest. Com’è diritto di amici e famiglia scegliere la strada opposta, campare e morire in un modo diverso.

Non è un caso, forse, che Fitzgerald, Hemingway, Parker, fossero amici e fossero tutti alcolizzati. Erano buoni amici perché si riconoscevano nelle brutture e nelle meschinità di un vizio silente eppure totalizzante, ma non se le rinfacciavano, probabilmente. Chissà se Dorothy lo diceva a se stessa, quel “poor old bastard”, mentre seppellivano Francis. Erano i buoni amici di Fitzgerald, quelli che buttavano un fiore sulla terra a 4 giorni dal Natale, al suo funerale, e non l’hanno salvato, non hanno salvato neanche se stessi. Perché s’erano scelti la via e si sono caricati il fondo che hanno scientemente voluto, hanno rispettato la vocazione. Come Paul.

Bukowski lo diceva: “Se succede qualcosa di brutto si beve per dimenticare, se succede qualcosa di bello si beve per festeggiare e se non succede niente si beve per far succedere qualcosa”. Gascoigne trova un motivo per bere, ogni giorno, come lo trovava Francis.

Io ho visto, poco fa, la faccia gonfia e trasfigurata d’un Gazza che non era più di questo mondo, in quelle ultime foto con i piedi scalzi da Cristo ubriacone, la testa rotta e la vestaglia da barbone.

E ho pensato solo “poor old bastard”, con le lacrime agli occhi.

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