Voglio bene a mammà ma vorrei andare via: i saputi che leggono i dati

Bazzicando da anni i social, mi ero ripromessa più volte di lasciar correre le immani sciocchezze che leggo e che nessuno (me compresa) si risparmia quotidianamente di condividere. Ci sono però delle sciocchezze un po’ più sciocchezze delle altre e vengono direttamente da una cultura di semplificazione della realtà adatta ai deficienti che stiamo diventando, ma ogni tanto si muove una particella di consapevolezza, s’alza lo spirito critico, s’incazzano le sinapsi e rispondo.

È capitato dunque che Jacopo Iacoboni, giornalista a La Stampa, persona che mi è sempre stata simpatica e che ho apprezzato spesso, se ne sia uscito con una di quelle semplificazioni che portano a dire che se voti No al referendum sei come Casa Pound, annullando di fatto tutta quella parte di analisi critica e personale doverosa, quando non necessaria. In un tweet, dice:

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Questa analisi sopraffina mi è apparsa in TL per via di un RT ma, non volendo mettermi a discutere, mi sono limitata all’inizio ad una catena di tweet scazzati, non destinati a Iacoboni in quanto Iacoboni, ma a tutti gli Iacoboni che della vita odierna non sanno una plissettata fava.

E però questa invettiva solitaria, seppur appoggiata da chi, come me, sta con una scarpa e una ciavatta (ma anche da chi sa di essere, oggi, “privilegiato” e capisce cosa sia la vita là fuori) non mi bastava. Riportare il dato va bene, sono numeri. Non ci prendiamo in giro però con l’uso del termine “mammà” da parte di Iacoboni, sicché inizio a far presente al diretto interessato il leggero fastidio che m’aveva pervasa e che attualmente permane in me.

In altri tweet Iacoboni spiega che la sua non era un’accusa ai 18-trentacinquenni che vivono in casa coi genitori, no no, ma ti pare, era una constatazione del tragico stato in cui versa questa disgraziata nazione, eh già, e però “mammà” suona da presa in giro, gliel’hanno fatto notare in molti, come se la tragicità della disgraziata nazione, alla fine, stai a vedere, ma fosse un pochetto colpa mia.

Ça va sans dire, parte una mezza lite.

Quando faccio notare a Jacopo che il 1997 non ha nulla da spartire con il 2016 (e neanche con gli anni che partono dal 2009 almeno), non è perché sono scema. Come hanno avuto modo di spiegare coetanei di Iacoboni, in quegli anni era facile trovare dei lavoretti decenti, che ti permettevano di andare avanti. Erano un punto di partenza: potevi pagarti la vacanza, l’affitto di una stanza, iniziare ad essere indipendente, sapendo che non avresti fatto quel lavoretto per sempre o che comunque avresti avuto modo di crescere in quella stessa azienda/negozio/ufficio che ti offriva quella mansione bassa.

Oggi la mansione bassa è il punto d’arrivo, e non è neanche la mansione bassa o alta il punto: il punto è che ti fanno l’elemosina, non ti pagano.

Ho invitato Iacoboni a vivere con quello che ho guadagnato io tra luglio e settembre. Il trimestre non è citato a caso: mi pagano a 90 giorni. Io non costo nulla all’azienda per la quale lavoro, mi pagano con ritenuta d’acconto, lavoro in remoto, pago io le mie spese internet e l’elettricità, uso i miei device, ma comunque anche questo pseudo terziario viene liquidato a 3 mesi dalla prestazione. Non cerco, poi, solo questa tipologia di lavoro, mi pare ovvio, ma il “lavoretto” come cameriera, barista, baby sitter, tutto quello che si può fare per arrotondare, oggi è diventato impossibile. Perché i bar chiudono, i locali chiudono, i genitori vogliono referenze manco avessero tutti messo al mondo dei Baby George, e tutti quelli che gestiscono le varie attività ancora aperte hanno un parente, un amico, un cugino, un vicino di casa, che può dare una mano. E, pensa un po’, serve una raccomandazione pure per quei lavori lì.

Per uno stage gratuito (in cui ho almeno arraffato 6 cfu universitari) c’è chi ha dovuto pagarsi l’assicurazione e le analisi del sangue con annesso certificato di sana e robusta costituzione (era un ente pubblico e nessuno di noi era in diretto contatto con qualcuno se non con la nostra frustrazione). Quando dico gratis, intendo gratis, niente, zero, il caffè offerto dal capo con la chiavetta al distributore, le pizzette se qualcuno festeggiava il compleanno, questo era il massimo che potevi tirare fuori da là. Orario: 7:30-18.

Perché lo stage, questo animale mitologico metà sfruttamento e metà pratiche sessuali particolari è quello che ha portato Iacoboni fuori di casa a 25 anni. E ce lo spiega così, ingenuamente spero:

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“Andando a stare da amici”.

Se a Iacoboni interessa, sono di nuovo alla ricerca di stagisti nell’ufficio in cui l’ho svolto io 2 anni fa, magari lo prendono. Il posto letto lo offro io.

Devo mettere una telecamera in streaming h24 perché quando ho letto “andando a stare da amici” mi sono ribaltata e magari potevo vincere i gettoni d’oro di Paperissima, vedi te la sfiga. A Roma hanno chiesto 500 euro per un box auto senza finestre non abitabile. E lo hanno pure affittato, poi. Ora: se gli amici di Iacoboni mi ospitano a Roma, io parto domani. No anzi: parto ora, butto due stracci in valigia e arrivo. No anzi: me li faccio spedire col corriere, parto in tuta e pantofole. Chiunque viva da solo sa benissimo che l’affitto + le spese di condominio (riscaldamento centralizzato in primis) sono le spese che più pesano e divorano la paga. Ma torniamo ai tweet:

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Uno scambio surreale.

Prima era riportare un dato numerico eppure aggiungere un termine dispregiativo come “mammà”, poi specificare che non prendeva un vitalizio e quindi lui ha rischiato come tutti (e forse siamo noi a volere tutto pronto? Ma certo), poi dire che lo ha ospitato un amico (eliminando quindi di fatto la voce più dispendiosa del mantenersi da soli), poi specifica ancora che è stato fortunato, poi però alla fortuna lui non crede, gli fanno notare l’incoerenza e non replica. Io invece sì, rispondo al suo tweet poetico-filosofico:

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Sono una che si salva grazie al sarcasmo, ma la situazione è disperata. Questa continua sufficienza di chi ha il fondoschiena ben coperto, di chi ha vissuto epoche completamente diverse anche se recenti, quella superiorità come nonno che zompava il fosso per lungo all’età nostra, ha francamente e pericolosamente stancato. Bollare come “choosy” e “bamboccioni” e incollati alle gonne di mammà è un modo per non affrontare un problema. Se proprio volete scomodarvi ad analizzare i dati, provate a smembrare i numeri: 67,3% è un dato che evidenzia un sistema, non una scelta. La scelta, a star larghi, è 15, toh 20%. In tanti poi mi hanno risposto di essere tornati a casa perché quelli col lavoro erano loro e i genitori erano in difficoltà.

Non ce l’ho con Jacopo in quanto Jacopo, ma con Jacopo in quanto parte di un sistema che mi sta letteralmente levando la pelle di dosso, solo che Jacopo non lo vede e non lo sa e non se lo domanda. A me e ad altri 7 milioni di italiani stanno togliendo tutto, e molti credo passeranno a turno anche a La Stampa. E non contenti ci prendono pure in giro.

Iacoboni e molti suoi colleghi, avendone la piena possibilità e presumo capacità, dovrebbero mettere in evidenza il sistema malato, non l’eccezione di chi a 40 anni è felice di farsi portare il caffè a letto dalla mamma. Dovrebbero farsi un giro sui siti di ricerca personale, nei centri per l’impiego, in un’agenzia interinale, informarsi su quanto costino i master, i corsi professionali, provare a parlare con chi ha un padre disoccupato ma ancora troppo giovane per la pensione, con chi si paga l’università, con chi deve rinunciare alle cure mediche perché 50 euro per un’ecografia non li ha ma neanche è esente, con chi non ha amici con un bel posto letto pronto. Perché nel tempo pure i milionari son venuti a dirti che devi lavorare gratis, che devi “fare esperienza” come dice Jovanotti, e per fortuna un altro giornalista, Roberto Ciccarelli, ha elogiato questa intelligentissima sparata definendola “La Filosofia del Bimbominkia“.

Perché questi over 40 non hanno capito niente di quello che hanno intorno. Ci sono due mondi paralleli: in uno ci siamo noi, nell’altro loro, ostinati nel non capire (per limite o scelta) che il 1997 non è il 2016, che lo stage oggi non te lo pagano e ci rimetti, che ho scritto il dizionario dello sfruttamento lavorativo 2.0 e secondo me dovrebbero leggerlo, quel post. E a me nel frattempo si seccano le ovaie e la Lorenzin piange.

Provassero, tutti questi signori tanto sottili nelle loro analisi, a mandare il loro cv di quando avevano 25 anni, aggiornati con date recenti. Io scommetto una pizza (piccola, per sicurezza) che nessuno di loro verrebbe richiamato. Perché ho amici preparati, titolati, con master specifici che non vengono considerati se non con rimborso spese da 300 euro al mese.

Non si tratta più neanche di inseguire un sogno. Stiamo inventando professioni, non sappiamo più come fare, l’ironia bonaria del privilegiato potreste anche e con estrema cortesia evitarla, no? Sì.

Tutto questo post potevo evitarvelo, lasciando solo il commento di Marco Cattaneo, persona di grande sensibilità e intelligenza, e lo aggiungo qui:

mar

Sarebbe bello se tutti i non pagati e sfruttati che prestano le loro capacità ai media (giornali, siti, radio, emittenti tv), ma anche chi nei negozi ha un contratto part time e fa 12 ore di turno, ma anche chi viene spolpato in ogni ambito lavorativo, qualunque esso sia, non si presentassero al lavoro per una settimana. Non ho diritti, perché dovrei avere dei doveri?

Sai le grasse risate. Se acchittiamo la questione io ci sto.

In chiusura, rendo noto quanto ho guadagnato per 90 giorni di lavoro, collaborazione a distanza, che teoricamente dovrei gestire come voglio e nei fatti no, non capita mai, e mi occupa più della metà della giornata: 473 euro. Quattrocentosettantatrè euro. Mi vergogno pure a dirlo.

“Mammà” a chi?

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